Di Francesco Dominoni

DUBLINO – Enzo Farinella è amico personale di Michael D. Higgins, attuale Presidente della Repubblica d’Irlanda. I due si conoscono da quando insegnavano insieme nello stesso istituto. Higgins insegnava Sociologia, Farinella Antropologia e Filosofia. Da allora li unisce un rapporto di stima e di sincera amicizia, coltivato con la discrezione e la profondità dei grandi uomini di cultura. Prosegue il viaggio del COMITES Irlanda nel cuore della comunità italiana. Farinella oggi in pensione, e’ stato giornalista dell’agenzia ANSA e corrispondente per la Radio Vaticana, nasce in Sicilia e arriva in Irlanda nel 1966. È il regista di numerosi gemellaggi tra Italia e Irlanda, tessendo relazioni che si trasformano in amicizie profonde e durature. Dal 1979 al 1999 è Addetto Culturale presso l’Istituto Italiano di Cultura di Dublino, e oggi dirige il Centro Culturale Casa Italia, cuore pulsante della comunità italiana nella capitale irlandese. Nel corso degli anni, Farinella intreccia legami di amicizia a tutti i livelli: tra politici, imprenditori e uomini di cultura. È amico di Bertie Ahern, classe 1951, leader del Fianna Fáil, Primo Ministro d’Irlanda dal 1997 al 2008, artefice del miracolo economico della Tigre Celtica, uomo di pragmatismo e di visione, capace di guidare un Paese che cambia volto in pochi anni.

Accanto a lui, Farinella si lega a Michael O’Leary, patron della Ryanair, simbolo dell’Irlanda moderna, imprenditore geniale e controverso, presente persino al matrimonio della figlia del giornalista in Sicilia: un segno di stima e amicizia autentica. Stringe rapporti di grande fiducia con Mary Harney, ex leader dei Progressive Democrats, Ministro della Sanità e Ministro dell’Impresa, del Commercio e del Lavoro dal 2004 al 2011.

Donna di potere e di visione, Harney rappresenta per Farinella una finestra sull’Irlanda istituzionale più moderna e pragmatica. Con Enda Kenny, leader del Fine Gael e Primo Ministro dal 2011 al 2017, nasce una stima reciproca, fatta di dialogo e di sensibilità culturale. Tra le personalità più vicine, Farinella annovera Michael Mulcahy, del Fianna Fáil, ex Sindaco di Dublino ed ex Senatore della Repubblica irlandese, figlio di John Mulcahy, fondatore del Sunday Tribune e proprietario del Phoenix Magazine. Una famiglia di peso nella stampa irlandese, un terreno naturale per la passione giornalistica di Enzo. Ma la rete di Farinella non si ferma ai confini irlandesi. Accoglie Mikhail Gorbaciov, l’ultimo Presidente dell’Unione Sovietica, l’uomo della glasnost e della perestroika, il protagonista della fine della Guerra Fredda. Un incontro che segna profondamente la sua visione del dialogo tra popoli. Infine, Farinella riceve con onore Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica Italiana, il “ministro di ferro” degli anni di piombo, protagonista delle pagine più drammatiche e decisive della storia italiana. Enzo Farinella attraversa la storia con passo leggero ma deciso. Ovunque vada, lascia tracce di amicizia, cultura e rispetto reciproco. E nel suo sguardo, sempre, brilla la certezza che la conoscenza personale sia la forma più alta di diplomazia.

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Lei è amico dell’attuale Presidente della Repubblica, Michael D. Higgins.

Esatto. Insegnavamo nella stessa scuola. Michael teneva il corso di Sociologia, io insegnavo Antropologia e Filosofia. È nata un’amicizia profonda, che dura ancora oggi. Quando è diventato Presidente, mi ha persino ricevuto nella residenza chiamata Áras an Uachtaráin, situata a Phoenix Park, nel Northside di Dublino. Questa dimora storica è la residenza ufficiale del presidente ed è utilizzata anche per rappresentanza e cerimonie di stato. Michael è un uomo di cultura autentica, di visione e di cuore.

Partiamo dalle origini. Cosa rappresenta per lei Gangi, il paese dove è nato?

Gangi è tutto. È la mia radice, la mia anima. Lì ho imparato a guardare il mondo con curiosità e rispetto. È un borgo che considero “il gioiello d’Italia”. Ho fatto le elementari lì, ma per continuare gli studi ho dovuto lasciare la mia terra: prima Catania, poi Palermo. È stato il mio primo sradicamento, un anticipo della mia futura vita tra luoghi diversi. Ma è in Sicilia che si forma la mia vocazione: capire le persone, collegare culture, creare dialogo.

Nel 1966 approda in Irlanda. Un cambio radicale: che impressione le fece quel Paese?

Un Paese bellissimo e duro allo stesso tempo. Mi sembrò medievale, con un cielo grigio e un’atmosfera austera. Venivo dal sole della Sicilia, e quel clima fu uno shock. Ma la gente… la gente era straordinaria. Una cordialità, una gentilezza, una disponibilità uniche. Il cuore mi si aprì subito. Sentii di avere trovato una seconda casa. Anche se, lo confesso, il richiamo del sole siciliano restava fortissimo: arrivai in agosto, e già a febbraio volevo tornare a casa. Ma l’Irlanda mi aveva conquistato.

Ha intrecciato relazioni importanti anche nel mondo politico.

Sì, l’Irlanda è stata generosa con me. Ho conosciuto da vicino figure come Enda Kenny, ex Primo Ministro, e Pádraig Flynn, allora Commissario Europeo, che partecipò alla presentazione di un mio libro. Ho avuto rapporti con ministri, accademici, imprenditori. Ma il mio centro era sempre uno: l’Istituto Italiano di Cultura di Dublino. Lo chiamo “il luogo del mio sudore”, dove ho lavorato vent’anni come Addetto Culturale e dove, anni dopo, ho ricevuto una delle mie più grandi onorificenze.

Lei è stato anche corrispondente della Radio Vaticana. Una posizione privilegiata per raccontare la Storia.

Sì, e con emozione ancora oggi ricordo la prima visita di un Papa in Irlanda. C’erano mille giornalisti, ma io avevo una responsabilità unica: il direttore della Radio Vaticana mi consegnò una cassetta sigillata con tutti i discorsi del Pontefice. Nessuno poteva leggerli. Tra questi, quello di Drogheda, in cui il Papa si rivolse “in ginocchio agli uomini violenti”. Dovevo custodire il segreto. E lo feci, consapevole del peso di quelle parole. Fu un momento di storia pura, e io ero lì.

Ha incontrato anche figure mondiali come Michail Gorbaciov.

Sì, ho avuto il privilegio di intervistarlo. Gorbaciov rappresentava un’epoca che finiva, ma anche una speranza che nasceva. L’ho visto come un uomo vero, stanco ma determinato. E poi, anni dopo, ho vissuto un altro momento storico: la notizia delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, che ricevetti mentre ero in Irlanda per un incontro istituzionale. Ho sempre sentito la responsabilità di raccontare la verità dei fatti, senza spettacolarizzarli.

Lei ha ricevuto onorificenze importanti, sia italiane che internazionali. Cosa significano per lei?

Ogni riconoscimento è una tappa di un cammino collettivo, non personale. Quando ricevetti il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana, con la firma di Giorgio Napolitano, provai una grande emozione: la cerimonia si tenne proprio all’Istituto Italiano di Cultura, il mio “luogo di lavoro e di sudore” insieme all’ex Ambasciatore Savoia. E poi l’ONU Peace Messenger Award, consegnato dal Segretario Generale Javier Pérez de Cuéllar nel 1986. Mi premiarono per i “gemellaggi” tra città: piccoli semi di pace seminati con costanza. È quello che mi ha sempre guidato.

Nella sua vita, la famiglia occupa un ruolo centrale. Ci racconta qualcosa di più?

La famiglia è la mia forza. Dal mio primo matrimonio con Patrizia ho avuto tre figli: Santina, imprenditrice; Ashlin, stilista di talento; e Gioacchino, che vive in Irlanda con sua moglie polacca e le loro due figlie. Poi, nel 2016, mi sono risposato con una giornalista conosciuta a Trento: ci siamo sposati in Sicilia, nel teatro Rosa di Pollina, e da quel matrimonio è nato Enzino, in Ungheria. La mia famiglia è un piccolo mosaico europeo tra Sicilia, Irlanda, Polonia, Ungheria ma con un cuore unico. Quello di Gangi.

Oggi, guardando indietro, cosa sente di aver costruito?

Ho cercato di creare legami. Tra persone, culture, generazioni. Di seminare rispetto, conoscenza, fiducia. Se qualcuno, oggi, sente che grazie a un mio gesto o a una mia parola l’Italia e l’Irlanda si capiscono un po’ di più, allora penso che ne sia valsa la pena.

Un’ultima domanda: cosa direbbe a un giovane che vuole seguire le sue orme?

Gli direi di partire. Di studiare, viaggiare, ascoltare. Ma soprattutto di non dimenticare mai da dove viene. Perché solo chi conosce le proprie radici può davvero capire il mondo.

Giovedì 9 ottobre 2025. Una serata di musica, nostalgia e orgoglio italiano accende il cuore di Dublino. Il Molly’s Bar, piccolo tempio musicale nel quartiere di Francis Street, è gremito di connazionali per l’evento “Cuccuruccucú. Omaggio a Franco Battiato”, promosso da Sebastiano Toscano in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura e Nowhere Music Club. Sul palco e tra il pubblico, un concentrato d’Italia: artisti, organizzatori, volti noti della comunità. Ma soprattutto, il debutto ufficiale della nuova direttrice dell’Istituto, Michela Linda Magrì, che raccoglie il testimone da Marco Gioacchini, da poco trasferito in Australia.

Di Francesco Dominoni

DUBLINO – Circa 200 registrati online. È un giovedì d’ottobre che sa di casa. Nel pub dalle pareti scure e dalle luci calde si mescolano le note di Battiato e le voci di decine di italiani, giovani e meno giovani, arrivati da tutta l’isola per rendere omaggio a un artista che ha segnato la memoria collettiva. La serata è anche l’occasione per conoscere Michela Linda Magrì, la nuova guida dell’Istituto di Cultura. Siciliana di origine. Magrì racconta con un sorriso il suo arrivo a Dublino:


«Sono molto contenta di essere qui. È un evento ben riuscito, con una bella partecipazione di italiani. Arrivo dalla Corea del Sud e percepisco un’energia nuova qui a Dublino. C’è tanto da fare».

La sua carriera parla da sé: nel 2000 entra al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, specializzandosi nella promozione della cultura italiana all’estero. Nove anni in Indonesia, quasi sei a Los Angeles: un curriculum costruito tra capitali e continenti, sempre nel segno dell’Italia che dialoga con il mondo.

Accanto a lei, nella sala, le collaboratrici dell’Istituto Virginia Venieri e Debora Biancheri, testimoni di un passaggio di testimone che segna l’inizio di una nuova fase.

Sul palco, la musica prende il sopravvento. Special guest della serata è Beppe Vip, DJ siciliano trapiantato a Roma, che trova a Dublino un’energia diversa:


«È la primissima volta per me in Irlanda e devo dire che ci sono molte più occasioni qui che in Italia. A Roma le opportunità sono più limitate per un DJ. A Dublino si respira un’aria fresca e frizzante, con tanta voglia di fare», racconta. Poi sorride: «In Italia suono a feste ed eventi, ma qui è più semplice entrare nei locali e proporre la propria musica».

Tra il pubblico si riconoscono il videomaker Max Cope e gli organizzatori Daniele Napoleoni e Nina Abageru, anime del movimento Puglia in Ireland, impegnati a promuovere la cultura italiana attraverso concerti e serate tematiche.

Il successo della serata, racconta molto più di un semplice evento musicale. È il segno di una comunità viva, desiderosa di ritrovarsi e riconoscersi nella bellezza delle proprie radici.
E mentre nel locale risuona ancora l’eco di Centro di gravità permanente, qualcuno sorride e dice che, per una sera, Battiato è tornato a Dublino.

«Stiamo già lavorando ad altre serate — racconta Sebastiano Toscano, organizzatore dell’evento — gli italiani qui a Dublino hanno una grande voglia di ritrovarsi e celebrare insieme una musica di autentico valore artistico. Lo dimostra l’affluenza di questa sera, oltre ogni aspettativa».

Dalla Moldavia all’Italia, fino all’Irlanda: il viaggio di Nina Abageru, classe 1993, è quello di una donna che trasforma la passione in progetto culturale. Oggi è il braccio destro di Daniele Napoleoni, fondatore di Puglia in Ireland, l’iniziativa che porta la musica e la cultura italiana nel cuore di Dublino. Dopo aver vissuto tra Napoli, Salerno, il Trevigiano e Parigi, consegue una certificazione internazionale di coaching. Nina approda in Irlanda e contribuisce a organizzare il primo grande concerto italiano al Button Factory, con il Canzoniere Grecanico Salentino e il tutto esaurito. Ora lavora al prossimo passo: portare l’opera lirica italiana, riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità, in Irlanda, costruendo partnership con il COMITES e l’Ambasciata d’Italia a Dublino. La sua missione è chiara: far dialogare Italia e Irlanda attraverso la forza universale della musica.

di Francesco Dominoni

DUBLINO – Il suo amore per l’Italia comincia nel 2015 quando Nina mette piede per la prima volta nel Belpaese. Va a Napoli. «Mi avevano detto di stare attenta ai furti, di non indossare gioielli — racconta sorridendo — ma io mi sono innamorata di quella vitalità». L’anno successivo è a Salerno per tutta l’estate, l’ultimo anno di università in legge. Nel 2020 torna in Friuli Venezia Giulia, dove vive la sorella. Poi si trasferisce a Valdobbiadene, nel Trevigiano, e resta bloccata lì durante il lockdown: le frontiere sono chiuse, la Moldavia lontanissima.

In estate riparte, questa volta per il Sud. Va in Calabria, a Ciro Marina, dove lavora al villaggio turistico “Punta Alice”. Lì, tra l’azzurro dello Ionio e le sere d’estate, capisce che organizzare eventi è la sua vera vocazione.

Nel 2022 vola a Dublino per la prima volta, ma resta poco. Si sposta a Parigi. Ottiene poi una certificazione International Level Coaching rilasciata dall’International Coach Federation (ICF), l’organizzazione mondiale che regola la professione del coaching. È un periodo di studio, di crescita, di passaggio.

Poi, il 13 ottobre 2024, il ritorno in Irlanda. Il destino le fa incontrare Daniele Napoleoni, e da quell’incontro nasce l’idea che cambierà il loro percorso: portare in Irlanda la musica e la cultura italiana. Nasce Puglia in Ireland.

Il debutto è un successo: 28 settembre 2024, Button Factory, Temple Bar, cuore pulsante di Dublino. Sul palco il Canzoniere Grecanico Salentino, guidato da Mauro Durante. Due ore di ritmo, tamburelli, voci e danza. Pubblico misto, sold out. Irlandesi e italiani che si stringono sotto le luci, trascinati dall’energia del Salento.

«Mi piace organizzare eventi italiani», spiega Nina Abageru. «Questo è solo l’inizio. Stiamo preparando il calendario del prossimo anno, e tra le iniziative ci sarà anche la musica lirica, che vogliamo far arrivare dall’Italia».

La lirica come nuova frontiera del progetto: un ponte tra le radici della cultura italiana e l’apertura dell’anima irlandese. “È nata in Italia tra il Cinquecento e il Seicento, da Monteverdi a Verdi e Puccini, e si è diffusa ovunque come una delle più raffinate espressioni artistiche umane”, racconta Nina. “Nel 2024 l’UNESCO l’ha riconosciuta Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Noi vogliamo portarla qui, in Irlanda, per farla riscoprire alla gente”.

Non un’operazione nostalgica, ma un progetto strutturato: partnership con sponsor, istituzioni pubbliche ed aziende private, tra cui il COMITES Irlanda e l’Ambasciata d’Italia a Dublino, i ristoranti Bar Italia, DoppioZero e Pomodorino.

Per lei, l’opera italiana in Irlanda non è solo spettacolo: è un linguaggio comune, un ponte culturale e umano.

È catanese di origine, informatico di professione, ma anima musicale per vocazione. Vive a Dublino, lavora per il National Treasury Management Agency, suona in due band irlandesi e nel tempo libero ha fondato nowhere music club. Con passione e tenacia ha trasformato un semplice blog in un collettivo che oggi riunisce centinaia di persone intorno alla musica italiana su vinile. È uno dei volti di quel viaggio itinerante che il COMITES Irlanda sta compiendo dentro la comunità italiana, scoprendo talenti, storie e legami che uniscono ancora di più Italia e Irlanda.

Di Francesco Dominoni

Sebastiano, dalla Sicilia a Dublino: cosa ti porta qui?
«Sono partito da Catania, ho vissuto a Mantova e Firenze, poi la vita e il lavoro mi hanno condotto a Dublino. Qui sono cresciuto professionalmente e ho trovato un ambiente fertile anche per la musica».

La tua vita professionale è nel cuore della finanza irlandese, ma il tuo cuore resta nella musica.
«Esatto. Lavoro come informatico per il National Treasury Management Agency, supportando i reparti di Finanza e Investimenti nella gestione dei dati. Ma la musica è la mia linfa vitale: suono la batteria nei Soft Rules, band post-punk irlandese che ha avuto spazio anche su Radio Freccia e Virgin Radio Italia, e nei Garage Olimpo, progetto post-rock più di nicchia ma ricco di energia creativa».

Da qui nasce anche l’esperienza del nowhere music club.
«Sì, è iniziato come blog e si è trasformato in un collettivo. Da cinque anni, con l’Istituto Italiano di Cultura, organizziamo serate di vinili italiani. All’inizio eravamo una quarantina, oggi superiamo le 220 persone a evento. È un momento di scambio, di comunità: si ascolta, si canta, si balla».

La musica come ponte tra Italia e Irlanda.
«Proprio così. La musica è l’elemento in comune, il linguaggio che ci permette di sentirci parte di un’unica comunità. Qui a Dublino, la musica italiana non è solo nostalgia: è identità viva, è voglia di condividere sono emozioni».

Ogni serata ha un suo tema. Cosa ci aspetta alla prossima?
«Dopo Raffaella Carrà, Adriano Celentano e gli 883, il prossimo appuntamento sarà dedicato a Franco Battiato. E questa volta avremo un ospite speciale: Beppe Vip, anche lui siciliano, che porterà una selezione di brani legati al maestro».

Prossima serata

Italian Vinyl Records Party  Cuccuruccucú  Omaggio a Franco Battiato
Molly’s Bar, 101 Francis St, Dublin 8 – D08 Y70F
Giovedì 9 ottobre, ore 20.00 – 23.30
Ingresso libero – Registrati qui

Un evento organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura con nowhere music club, per celebrare ancora una volta l’italianità a Dublino attraverso la musica.

DUBLINO – Due ore di musica, balli e amicizia tra Italia e Irlanda. Domenica 28 settembre, il cuore pulsante di Temple Bar ha vibrato al ritmo della pizzica e delle sonorità mediterranee. Al The Button Factory, uno dei templi della musica dal vivo dublinese, il concerto “Puglia in Ireland” ha riempito la sala e l’anima del pubblico, in un incontro che è stato insieme spettacolo, festa e ponte culturale.

di Francesco Dominoni

L’iniziativa porta la firma di Daniele Napoleoni, che ha saputo trasformare un’idea in un evento corale, organizzato con il sostegno del COMITES Irlanda. Tra il pubblico, nomi di primo piano della comunità italiana: l’Ambasciatore Nicola Faganello con la moglie, Fabio Pietrobon, direttore generale della Camera di Commercio italiana a Dublino, e Luca Mancinelli, vicepresidente del COMITES.

Il Canzoniere che fa ballare

Sul palco il Canzoniere Grecanico Salentino, guidato da Mauro Durante: una formazione che unisce energia e radici, capace di incendiare la platea. La voce intensa di Alessia Tondo, la danza di Silvia Perrone, il bouzouki di Emanuele Licci, il tamburello di Giancarlo Paglialunga, la fisarmonica di Massimiliano Morabito e i fiati di Giulio Bianco hanno trascinato il pubblico, dove molti pugliesi si sono riconosciuti e commossi.

L’abbraccio tra Italia e Irlanda

«Una serata ben riuscita, che ha saputo stringere i legami di amicizia tra Irlanda e Italia attraverso la musica» ha sottolineato l’Ambasciatore Faganello. Sulla stessa linea Pietrobon: «Un evento che mette in luce punti in comune tra le tradizioni italiane e irlandesi».

Il momento più emozionante è arrivato alla fine, quando sul palco si è aggiunto Francesco Turrisi, musicista di fama internazionale, vincitore del Grammy Award 2022 per il miglior album folk. Un finale che ha suggellato la serata con un’esplosione di applausi.

Gli sponsor e il futuro

La serata è stata resa possibile anche grazie al sostegno di tre eccellenze della ristorazione italiana a Dublino: il Bar Italia di Ormond Quay Lower, il ristorante DoppioZero di Pembroke Street e la pizzeria Pomodorino di Swords.

«Sono contento del successo della serata – ha commentato Daniele Napoleoni –. Un grazie va agli sponsor, all’Ambasciata, al COMITES e alla Camera di Commercio. Ma soprattutto allo staff organizzativo. Questo è solo l’inizio: altri spettacoli musicali seguiranno».

“Puglia in Ireland” conquista Dublino: già 200 biglietti venduti, l’Ambasciatore Nicola Faganello annuncia la sua presenza, insieme ai rappresentanti della Camera di Commercio Italiana e del COMITES Irlanda. Cresce l’attesa per l’evento del 28 settembre al Button Factory, dove la musica salentina diventa ponte tra culture.

Di Francesco Dominoni

DUBLINO – È già un successo. Duecento biglietti sono stati staccati a pochi giorni dall’evento, e le vendite promettono di crescere ancora. Biglietti disponibili al prezzo unitario di 33 euro. “Puglia in Ireland” sbanca: il concerto che porta il cuore della tradizione salentina nel cuore di Dublino accende l’entusiasmo della comunità italiana e incuriosisce sempre più il pubblico irlandese.

Il 28 settembre 2025, al Button Factory, tempio musicale nel quartiere di Temple Bar, va in scena un appuntamento che non è solo spettacolo, ma scambio culturale. Sul palco il Canzoniere Grecanico Salentino, guidato da Mauro Durante, con la sua formazione che unisce energia, virtuosismo e radici: Silvia Perrone ballerina, Alessia Tondo voce femminile, Emanuele Licci bouzouki, Giancarlo Paglialunga tamburello, Massimiliano Morabito fisarmonica, Giulio Bianco fiati.

L’iniziativa nasce da Daniele Napoleoni, con il sostegno del COMITES Irlanda, e si pone un obiettivo ambizioso: tessere un ponte tra Puglia e Irlanda, tra tradizione e modernità, tra memoria e futuro. «Questo concerto non è solo musica — sottolinea Napoleoni — ma l’avvio di un percorso culturale più ampio. Con il COMITES vogliamo rendere visibile la Puglia in Irlanda non come ricordo, ma come realtà viva di scambio».

La presenza dell’Ambasciatore Nicola Faganello dà alla serata un peso istituzionale che va oltre il palco. A lui si affiancano i rappresentanti della Camera di Commercio Italiana e del COMITES Irlanda, a conferma che l’iniziativa è riconosciuta come un evento capace di rafforzare i legami tra comunità, cultura e istituzioni.

Un dato colpisce: il 50% dei biglietti è stato acquistato da cittadini irlandesi. Non solo diaspora, dunque, ma un interesse crescente per la cultura pugliese, la sua energia e la sua identità.

Con 200 biglietti già venduti e altri in arrivo, il bilancio per gli organizzatori è ottimo. L’attesa cresce. E in molti sperano che “Puglia in Ireland” non resti un episodio isolato, ma diventi un appuntamento stabile, capace di illuminare il dialogo tra due terre apparentemente lontane, unite invece dalla musica e dalla passione.

Un mandato che lascia il segno. Marco Gioacchini conclude la sua esperienza come direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Dublino, iniziata nel 2021, e lo fa mercoledì 17 settembre, alle 18, nella sala Pavillon della sede georgiana di Fitzwilliam Square. Una serata di saluti ufficiali e ricordi, di cultura e di gusto: ai discorsi si affiancano le prelibatezze preparate dal ristorante Wine Bar Doppio Zero di Angelo Simeone. A ottobre subentrerà la nuova direttrice, Michela Magrì.

di Francesco Dominoni

Quattro anni intensi

Dublino L’ambasciatore Nicola Faganello, accompagnato dalla moglie Franziska Faganello-Feldhoff, ringrazia Gioacchini per “l’ottimo lavoro svolto”. In quattro anni l’Istituto ha organizzato oltre 500 eventi culturali, in presenza e online, grazie a una fitta rete di collaborazioni con università, cinema, musei, festival e conservatori. Un impegno reso possibile anche dal lavoro delle colleghe Virginia Venieri e Debora Biancheri. Grande successo anche per i corsi di lingua: le iscrizioni più che raddoppiano, segno di una crescente curiosità verso l’Italia. “I nostri insegnanti di lingua sono ambasciatori della cultura italiana presso gli studenti”, sottolinea Gioacchini.

Il ricordo del primo giorno

“Esattamente quattro anni fa, il 17 settembre 2021, inaugurammo con un evento nei giardini di Fitzwilliam Square, in occasione della Culture Night”, ricorda il direttore. “Organizzare un appuntamento all’aperto a metà settembre fu una scommessa, ma il meteo ci premiò. Fu l’inizio di un percorso intenso”.

I ringraziamenti

Il direttore cita uno per uno i partner che hanno reso possibile il cammino dell’Istituto: il Com.It.Es. Irlanda, la Camera di Commercio Italo-Irlandese con il segretario generale Fabio Pietrobon, l’Agenzia ICE, l’ENIT di Londra, il cluster EUNIC Ireland con Goethe-Institut, Alliance Française e Instituto Cervantes. Un grazie particolare agli studiosi dei Dipartimenti di Italiano di Dublino, Galway e Cork, e agli artisti, scrittori, curatori, moderatori e accademici che hanno animato la sala dell’Istituto.

Una comunità presente

Alla cerimonia prendono parte numerosi rappresentanti delle istituzioni e della comunità italiana in Irlanda. Sono presenti Chiara Giorgini, responsabile del Dublin Desk di ITA, e Fabio Pietrobon, segretario generale della Camera di Commercio Italiana di Dublino. Per l’ufficio particolare dell’Ambasciatore partecipano Eoghan Savelli O’Brien ed Ester Tossi, accanto all’Ambasciatore Nicola Faganello, accompagnato dalla moglie Franziska Faganello-Feldhoff.

Non manca la rappresentanza del Com.It.Es. Irlanda, con la presidente Emiliana Capurro e il vicepresidente Luca Mancinelli, insieme a Paolo Elia di Intesa Sanpaolo Bank Ireland. Tra i presenti anche il videomaker Max Cope, il dj Sebastiano Toscano, l’ex presidente del Com.It.Es. Raffaele Cavallo e la console onoraria d’Italia a Cork Maria Gabriella Caponi. In sala anche Teresa Borza, già presidente del Club Italiano di Dublino.

La dimensione personale

Gioacchini non dimentica il sostegno di casa: “Ringrazio la mia famiglia, mia moglie Sesegma e le nostre figlie Aryuna e Giada. Questa è stata anche la loro avventura”.

L’Istituto Italiano di Cultura di Dublino, attivo da 71 anni nella storica sede di Fitzwilliam Square, si conferma più vitale che mai. E il passaggio di testimone da Marco Gioacchini a Michela Magrì segna l’inizio di un nuovo capitolo di una storia che continua.

Italiano di nascita, irlandese d’adozione. Angelo Simeone, classe 1974, originario di Sora in provincia di Frosinone, è oggi una delle eccellenze italiane della ristorazione a Dublino. La sua storia comincia nel 2001 a Rush, villaggio di mare a nord della capitale, dove apre il suo primo locale e introduce un Fish & Chips dal carattere italiano. Da lì la crescita è costante: apre il ristorante “Sopranos”, primo vero ristorante italiano della cittadina, e diventa un punto di riferimento gastronomico nella contea di Dublino. Oggi è titolare di due ristoranti Doppio Zero: uno in Abbey Street Upper, a nord del Liffey, e l’altro in Pembroke Street Lower, nella parte sud della capitale celtica. Accanto ai ristoranti, Simeone sviluppa un’attività di catering che serve grandi istituti finanziari come Mediolanum e Intesa San Paolo, oltre all’Ambasciata Italiana, all’Istituto Italiano di Cultura e alla Camera di Commercio. Tra i clienti fissi figurano anche istituzioni irlandesi: giudici della Corte Suprema, ministeri e lo stesso governo in Merrion Square. La storia di Angelo Simeone rappresenta la continuazione del viaggio del COMITES nella comunità italiana in Irlanda, un itinerario che valorizza le eccellenze del Made in Italy e il contributo dei connazionali alla vita culturale ed economica del Paese.

di Francesco Dominoni

Com’è iniziata la tua avventura in Irlanda?
«Nel 2001 arrivo a Rush, un piccolo villaggio di mare a nord di Dublino. Apro il mio primo locale, un Fish & Chips che chiamo “Angelo’s”. Ma non è un Fish & Chips qualsiasi: ci metto dentro l’Italia. Il pesce lo friggo come farei in una paranza a Sora, le patatine sono fresche, tagliate a mano, croccanti. Poi aggiungo il primo forno a legna per pizze della zona. La gente lo percepisce subito: non è solo street food, è un pezzo d’Italia che comincia a farsi strada in Irlanda.»

Il primo vero ristorante italiano?
«È il “Sopranos”, sempre a Rush. Lo apro sopra un pub storico dedicato a Michael Collins, il patriota irlandese. Un locale da cento coperti, ispirato alla serie tv che in quegli anni è un fenomeno mondiale. È l’unico ristorante italiano del paese, e diventa presto un punto di riferimento. Con me lavora anche Paolo Fresillo, oggi presidente della Federazione Italiana Cuochi in Irlanda. Sono anni di entusiasmo e di crescita: per me e per tutta la comunità italiana.»

Oggi il tuo marchio è Doppio Zero. Perché questa scelta?
«Perché la farina è l’anima della cucina italiana. Pasta, pizza, pane, focacce: tutto nasce da lì. Con “Doppio Zero” rendo omaggio a ciò che ci distingue nel mondo. Non è solo un nome, è una filosofia: semplicità, qualità, autenticità.»

Dove si trovano i tuoi ristoranti?
«Uno è in Abbey Street Upper, a due passi dal Liffey, nella parte nord della città. L’altro è in Pembroke Street Lower, nella parte sud, elegante e cosmopolita. Sono due zone diverse, con pubblici differenti, ma porto avanti lo stesso spirito. Nei miei locali entrano turisti, famiglie, lavoratori. E ci sono anche habitué: giudici, avvocati, consulenti legali che pranzano da noi quasi ogni giorno, vista la vicinanza con il Palazzo di Giustizia.»

Il catering ormai è una parte fondamentale del tuo lavoro. Che ruolo ha?
«Il catering mi permette di uscire dal ristorante e di portare l’Italia dentro le istituzioni. Oggi servo i grandi istituti finanziari italiani come Mediolanum e Intesa San Paolo, l’Ambasciata, l’Istituto Italiano di Cultura, la Camera di Commercio. Ma anche l’Irlanda ufficiale: giudici della Corte Suprema, ministeri, studi legali e persino il governo a Merrion Square. Non si tratta solo di cucinare: è rappresentanza, è diplomazia con i sapori, è un ponte tra due culture.»

Che cosa non manca mai nei tuoi ristoranti?
«La qualità. Non uso prodotti da scaffale, ma materie prime scelte con cura. La mia carta dei vini racconta l’Italia bottiglia dopo bottiglia. E poi la coerenza: rispetto la tradizione, senza rincorrere mode passeggere. La cucina italiana non ha bisogno di invenzioni stravaganti: basta proporla vera e riconoscibile.»

Stai puntando molto anche sul caffè. Perché?
«Perché il caffè è la punta di diamante del Made in Italy. Non è solo una bevanda: è un rito, un segno identitario, un momento che unisce. Ho la rappresentanza esclusiva in Irlanda del Mokambo, marchio abruzzese fondato a Chieti nel 1972. Lo porto con macchine professionali, cialde e persino con la moka tradizionale. Ma la vera differenza è che non mi limito a venderlo: insegno a prepararlo, a rispettarlo. Questo crea fiducia, trasparenza e rapporti solidi. Chi beve il mio caffè, beve un pezzo d’Italia.»

Che cos’è per te il Made in Italy?
«È la capacità di trasformare la semplicità in eccellenza. È cultura, storia, tradizione che diventano valore. In Irlanda lo vedo ogni giorno: l’Italia è sinonimo di qualità e autenticità. Ma il Made in Italy vive davvero solo se ci siamo noi italiani a difenderlo e a raccontarlo. Io sento questa responsabilità: essere ambasciatore di un’Italia vera, quella dei sapori autentici e della passione per le cose fatte bene.»

Prosegue il viaggio del Comites Irlanda alla scoperta delle storie degli italiani che hanno scelto di costruire la propria vita e la propria carriera in Irlanda. Oggi incontriamo Giacomo Maturro, fisioterapista con una lunga esperienza nel settore, recentemente promosso a un ruolo manageriale di coordinamento all’interno di una struttura sanitaria irlandese. La sua testimonianza illumina il percorso dei fisioterapisti italiani all’estero, professionisti che portano con sé una preparazione accademica solida, apprezzata e riconosciuta anche fuori dai confini nazionali.

Di Francesco Dominoni

Giacomo, da dove comincia la tua avventura irlandese?
Inizia più di vent’anni fa, quando venni la prima volta in Irlanda in vacanza. Rimasi colpito dai paesaggi e dalla gente. Tornai altre volte, sempre come turista, finché decisi di trasformare quella curiosità in un’esperienza di vita e di lavoro.

Qual è stata la tua più grande paura prima di partire?
La lingua. Temevo di non riuscire a comunicare e di non sapermi muovere fuori dalla mia comfort zone. Poi ho scoperto che tante cose sono più semplici che in Italia, a partire dalla burocrazia.

Quali sono le differenze principali per un fisioterapista che lavora in Irlanda rispetto all’Italia?
La più grande è che qui, se lavori nel pubblico, puoi esercitare anche nel privato. In Italia no: vige l’incompatibilità. In Irlanda invece un fisioterapista ospedaliero può avere anche uno studio proprio o collaborare con cliniche private.

Dal punto di vista economico, che prospettive ci sono?
Un neolaureato senza esperienza parte da circa 50.000 euro lordi all’anno. Con l’anzianità e le specializzazioni si può arrivare ai 75.000 euro, fino agli 80-90.000. Senza contare l’attività privata, che permette di integrare ulteriormente.

E in Italia quanto guadagna un fisioterapista?
Quando lavoravo nel pubblico, nel 2015, prendevo poco meno di 1.800 euro netti al mese. La differenza è evidente.

Come funziona la crescita professionale qui?
È basata sulla meritocrazia. Dopo tre anni di esperienza puoi diventare “Senior Physiotherapist”. Poi ci sono ruoli specialistici, fino al livello manageriale. Qui davvero ti danno quello che vali.

Il primo giorno di lavoro in Irlanda?
C’era tensione: lingua diversa, terminologia nuova. Ma gli irlandesi hanno un atteggiamento molto amichevole. Mi hanno aiutato subito, e in poche settimane mi ero già adattato.

Cos’hai trovato in Irlanda che in Italia ti mancava?
Opportunità. Non solo economiche, ma anche di crescita personale e professionale. Qui c’è apertura verso nuove idee e tecniche. È uno scambio reciproco: noi portiamo la solidità della nostra formazione, loro offrono spazi per crescere.

Cosa diresti a un giovane fisioterapista italiano che vuole tentare questa strada?
Che l’Irlanda è un posto eccellente dove mettersi alla prova. È Europa, vicina all’Italia, con meno barriere burocratiche e tante possibilità. Il consiglio è di superare il timore iniziale e provarci. È un’esperienza che arricchisce, anche se temporanea.

Hai cambiato più volte lavoro in Italia e poi sei partito per l’Irlanda. Quale cambiamento è stato più difficile?
Paradossalmente, quello dall’Italia all’Irlanda è stato più semplice. Mi sono trasferito con entusiasmo e ho trovato tante condizioni favorevoli. Qui la vita quotidiana è più scorrevole di quanto si pensi.

In conclusione, cosa rappresenta per te l’Irlanda oggi?
Una scelta vincente. Professionale e personale. Un Paese che mi ha accolto e che continua a darmi motivazioni per crescere.

di Francesco Dominoni

Dal boom economico della “Celtic Tiger” alla direzione di reparti ospedalieri: la storia del Dott. Andrea Piccin, medico italiano che da venticinque anni vive e lavora in Irlanda, racconta un percorso di crescita personale e professionale. In questa intervista, rilasciata al COMITES Irlanda nell’ambito di un reportage sugli italiani all’estero, emergono le difficoltà, le differenze e le opportunità che un medico può incontrare quando decide di lasciare l’Italia per realizzarsi in terra celtica.

Dottor Piccin, cominciamo dall’inizio: perché ha deciso di lasciare l’Italia e trasferirsi in Irlanda?
Sono arrivato a Dublino tra il 1999 e il 2000, negli anni della cosiddetta Celtic Tiger. L’Irlanda stava vivendo un boom economico straordinario, pieno di opportunità. La mia motivazione principale era imparare l’inglese. Non lo parlavo: a scuola avevo studiato tedesco, latino e greco. All’inizio è stata dura, ma piano piano ho imparato. Poi la mia tesi sperimentale a Padova sulla terapia genica nel neuroblastoma si rivelò decisiva: mi aprì le porte a un dottorato di ricerca al Trinity College di Dublino.

Quali sono le principali differenze che ha riscontrato tra il sistema sanitario italiano e quello irlandese?
La prima è il numero dei medici. In Italia ci sono molti più professionisti, e la sanità è più accessibile. In Irlanda invece i medici sono pochi e gli specialisti ancora meno. Detto questo, la qualità è molto alta: il sistema anglosassone è competitivo, ogni terapia o diagnosi deve essere validata dalle linee guida internazionali. E poi c’è una differenza di ruolo: qui il consultant, l’equivalente del primario, è un medico autonomo che decide da solo. In Italia, invece, lo specialista dipende sempre dal primario.

Sul piano economico, cosa cambia per un medico che lavora in Irlanda?
Gli stipendi sono molto alti, soprattutto per i consultant: tra i 250 e i 300 mila euro lordi all’anno, con un netto mensile che può andare dai 10 ai 15 mila euro, a seconda dell’anzianità. Naturalmente, le tasse sono altissime, attorno al 50%. E il costo della vita a Dublino è impressionante: un monolocale costa 2.000 euro al mese, una casa per una famiglia può arrivare a 5.000. Però alla fine si riesce a vivere bene, a mettere da parte dei soldi, a comprare un’auto, a fare vacanze. Cose che in Italia, per un medico ospedaliero, spesso sono impensabili.

Lei ha parlato in passato della “fuga dei cervelli”. Perché tanti colleghi italiani se ne vanno?
Per due motivi: stipendi bassi e frustrazione. Il medico in Italia lavora tantissimo, ha un altissimo numero di pazienti, ma non è gratificato. Spesso un idraulico o un carrozziere guadagnano più di lui. In più manca la meritocrazia: la medicina italiana è ottima, i medici bravissimi, ma non c’è una vera ricompensa. Solo i primari hanno stipendi adeguati, gli altri faticano con turni massacranti.

Quanto ha contato la lingua inglese nella sua carriera?
Tantissimo. L’inglese è la lingua della medicina di oggi, come un tempo lo era il latino. La letteratura scientifica è tutta in inglese, gli articoli, i congressi, gli aggiornamenti. Per i medici italiani, che studiano in italiano e raramente sono incentivati a usare l’inglese, è uno svantaggio enorme. Lavorare in un contesto anglosassone, invece, apre le porte a livello internazionale.

Dal punto di vista burocratico, quanto è difficile per un medico italiano integrarsi in Irlanda?
I titoli vengono riconosciuti nell’Unione Europea, ma il processo è lungo e molto fiscale. Serve la traduzione autenticata dei documenti, ci vogliono mesi. E poi la strada non è semplice: il sistema è competitivo e chiuso, specie a Dublino. Ci si confronta non solo con colleghi irlandesi ma anche con canadesi, americani, inglesi. Bisogna darsi da fare: pubblicare, presentare ai congressi, portare dati.

Come viene percepita la preparazione accademica italiana?
Molto bene. Noi italiani abbiamo uno studio meticoloso, nozionistico, che ci rende solidi. All’inizio però fatichiamo: nel sistema anglosassone l’approccio è più rapido, sintetico, pieno di acronimi. Però abbiamo un vantaggio: sappiamo scrivere e discutere, sappiamo amalgamare concetti diversi. È una capacità che spesso agli anglosassoni manca.

Dottore, in conclusione: vale la pena per un medico italiano trasferirsi in Irlanda?
Se uno cerca opportunità, autonomia professionale e stipendi proporzionati al lavoro, sì. Bisogna però essere pronti a pagare un prezzo alto in termini di competitività e costo della vita. Ma alla fine l’Irlanda ti offre quello che in Italia non riesci ad avere: la possibilità di realizzarti davvero.