Italiano di nascita, irlandese d’adozione. Angelo Simeone, classe 1974, originario di Sora in provincia di Frosinone, è oggi una delle eccellenze italiane della ristorazione a Dublino. La sua storia comincia nel 2001 a Rush, villaggio di mare a nord della capitale, dove apre il suo primo locale e introduce un Fish & Chips dal carattere italiano. Da lì la crescita è costante: apre il ristorante “Sopranos”, primo vero ristorante italiano della cittadina, e diventa un punto di riferimento gastronomico nella contea di Dublino. Oggi è titolare di due ristoranti Doppio Zero: uno in Abbey Street Upper, a nord del Liffey, e l’altro in Pembroke Street Lower, nella parte sud della capitale celtica. Accanto ai ristoranti, Simeone sviluppa un’attività di catering che serve grandi istituti finanziari come Mediolanum e Intesa San Paolo, oltre all’Ambasciata Italiana, all’Istituto Italiano di Cultura e alla Camera di Commercio. Tra i clienti fissi figurano anche istituzioni irlandesi: giudici della Corte Suprema, ministeri e lo stesso governo in Merrion Square. La storia di Angelo Simeone rappresenta la continuazione del viaggio del COMITES nella comunità italiana in Irlanda, un itinerario che valorizza le eccellenze del Made in Italy e il contributo dei connazionali alla vita culturale ed economica del Paese.

di Francesco Dominoni

Com’è iniziata la tua avventura in Irlanda?
«Nel 2001 arrivo a Rush, un piccolo villaggio di mare a nord di Dublino. Apro il mio primo locale, un Fish & Chips che chiamo “Angelo’s”. Ma non è un Fish & Chips qualsiasi: ci metto dentro l’Italia. Il pesce lo friggo come farei in una paranza a Sora, le patatine sono fresche, tagliate a mano, croccanti. Poi aggiungo il primo forno a legna per pizze della zona. La gente lo percepisce subito: non è solo street food, è un pezzo d’Italia che comincia a farsi strada in Irlanda.»

Il primo vero ristorante italiano?
«È il “Sopranos”, sempre a Rush. Lo apro sopra un pub storico dedicato a Michael Collins, il patriota irlandese. Un locale da cento coperti, ispirato alla serie tv che in quegli anni è un fenomeno mondiale. È l’unico ristorante italiano del paese, e diventa presto un punto di riferimento. Con me lavora anche Paolo Fresillo, oggi presidente della Federazione Italiana Cuochi in Irlanda. Sono anni di entusiasmo e di crescita: per me e per tutta la comunità italiana.»

Oggi il tuo marchio è Doppio Zero. Perché questa scelta?
«Perché la farina è l’anima della cucina italiana. Pasta, pizza, pane, focacce: tutto nasce da lì. Con “Doppio Zero” rendo omaggio a ciò che ci distingue nel mondo. Non è solo un nome, è una filosofia: semplicità, qualità, autenticità.»

Dove si trovano i tuoi ristoranti?
«Uno è in Abbey Street Upper, a due passi dal Liffey, nella parte nord della città. L’altro è in Pembroke Street Lower, nella parte sud, elegante e cosmopolita. Sono due zone diverse, con pubblici differenti, ma porto avanti lo stesso spirito. Nei miei locali entrano turisti, famiglie, lavoratori. E ci sono anche habitué: giudici, avvocati, consulenti legali che pranzano da noi quasi ogni giorno, vista la vicinanza con il Palazzo di Giustizia.»

Il catering ormai è una parte fondamentale del tuo lavoro. Che ruolo ha?
«Il catering mi permette di uscire dal ristorante e di portare l’Italia dentro le istituzioni. Oggi servo i grandi istituti finanziari italiani come Mediolanum e Intesa San Paolo, l’Ambasciata, l’Istituto Italiano di Cultura, la Camera di Commercio. Ma anche l’Irlanda ufficiale: giudici della Corte Suprema, ministeri, studi legali e persino il governo a Merrion Square. Non si tratta solo di cucinare: è rappresentanza, è diplomazia con i sapori, è un ponte tra due culture.»

Che cosa non manca mai nei tuoi ristoranti?
«La qualità. Non uso prodotti da scaffale, ma materie prime scelte con cura. La mia carta dei vini racconta l’Italia bottiglia dopo bottiglia. E poi la coerenza: rispetto la tradizione, senza rincorrere mode passeggere. La cucina italiana non ha bisogno di invenzioni stravaganti: basta proporla vera e riconoscibile.»

Stai puntando molto anche sul caffè. Perché?
«Perché il caffè è la punta di diamante del Made in Italy. Non è solo una bevanda: è un rito, un segno identitario, un momento che unisce. Ho la rappresentanza esclusiva in Irlanda del Mokambo, marchio abruzzese fondato a Chieti nel 1972. Lo porto con macchine professionali, cialde e persino con la moka tradizionale. Ma la vera differenza è che non mi limito a venderlo: insegno a prepararlo, a rispettarlo. Questo crea fiducia, trasparenza e rapporti solidi. Chi beve il mio caffè, beve un pezzo d’Italia.»

Che cos’è per te il Made in Italy?
«È la capacità di trasformare la semplicità in eccellenza. È cultura, storia, tradizione che diventano valore. In Irlanda lo vedo ogni giorno: l’Italia è sinonimo di qualità e autenticità. Ma il Made in Italy vive davvero solo se ci siamo noi italiani a difenderlo e a raccontarlo. Io sento questa responsabilità: essere ambasciatore di un’Italia vera, quella dei sapori autentici e della passione per le cose fatte bene.»