DUBLINO – È il 15 agosto del 2003 quando un giovane studente modenese, in vacanza a Dublino, decide di entrare per caso nel campus di un’università. Quel gesto improvvisato gli cambia la vita. Oggi, Marco Monopoli è Senior Lecturer al Royal College of Surgeons in Ireland (RCSI) e una figura di riferimento internazionale nella nanotecnologia. La sua è la storia di come un istinto può diventare destino. Continua il viaggio del COMITES Irlanda tra gli Italiani che hanno scelto di costruire la propria vita in terra celtica..

di Francesco Dominoni

Marco, come comincia il tuo primo incontro con l’Irlanda?
«Era Ferragosto del 2003. Ero a Dublino in vacanza con un amico, studiavo Biotecnologie Farmaceutiche a Modena. Faceva caldo in Italia e avevo voglia di scoprire un Paese nuovo. A un certo punto ho pensato: “Perché non andare a vedere com’è un’università qui?”. Così sono andato all’University College Dublin, senza appuntamento, senza conoscere nessuno. Solo curiosità e voglia di capire».

E cosa succede quel giorno?
«Mi perdo nel campus e finisco davanti al Conway Institute, un centro di ricerca biomedica. Entro, parlo con la receptionist e le spiego che sono uno studente italiano in cerca di un laboratorio per la tesi. Lei chiama un professore, che scende dopo pochi minuti. Mi fa un colloquio informale, lì sul momento, e alla fine mi dice: “Se vuoi, puoi venire sei mesi nel mio laboratorio”. Io resto di sasso».

Tutto questo… il 15 agosto?
«Sì! In Italia era tutto chiuso per Ferragosto, e io mi ritrovavo con un’occasione che non avevo nemmeno cercato. Il professore mi scrive il suo indirizzo email su un foglio di carta. Un gesto semplice, ma pieno di fiducia. Non avevo mai visto nulla di simile».

Quando torni in Italia, cosa fai?
«Gli scrivo. Poche settimane dopo mi conferma tutto per email, con tanto di borsa di studio. A gennaio 2004 faccio le valigie e parto. Quello che doveva essere un tirocinio di sei mesi si trasforma in molto di più: un dottorato di ricerca di quattro anni, poi un post-doc, un’esperienza nell’industria farmaceutica a Oxford e, infine, il mio ruolo attuale come Senior Lecturer al Royal College of Surgeons in Ireland».

Su cosa lavori oggi?
«Mi occupo di nanotossicologia e nanomedicina. In pratica studiamo come i nanomateriali interagiscono con il corpo umano e come possiamo usarli per trasportare farmaci in modo più mirato. Collaboro anche con l’Istituto Mario Negri di Milano per un progetto europeo chiamato “Potential”. È un modo per mantenere un legame forte con l’Italia».

C’è anche un lato personale in questa avventura, vero?
«Certo. Una carriera all’estero è anche una scelta di vita. La mia fidanzata di allora, oggi mia moglie, è italiana. A un certo punto abbiamo dovuto decidere: Spagna o Irlanda. Abbiamo scelto Dublino. Oggi abbiamo due figli, di 12 e 8 anni. L’Irlanda è diventata casa».

Cosa ti ha colpito di più del sistema irlandese?
«La fiducia. In Italia spesso devi dimostrare tutto prima di ottenere qualcosa. Qui, invece, ti danno subito un’opportunità e poi ti chiedono di dimostrare che te la meriti. È un approccio completamente diverso, che valorizza la motivazione e la curiosità».

E oggi, come vivi il tuo ruolo di docente e ricercatore?
«Con passione. Insegno Chimica dei Medicinali agli studenti di medicina, fisioterapia e Advanced Therapeutic Technologies, e continuo a fare ricerca. L’università è un luogo dove impari ogni giorno, non solo dove insegni».

Ti capita mai di ripensare a quel Ferragosto?
«Sì, spesso. Penso a quanto sia stata casuale quella scelta, e a quanto mi abbia cambiato la vita. La scienza, come la vita, è anche serendipità: trovare qualcosa di prezioso mentre cerchi altro».

La tua storia è anche il racconto di un’Italia che crede nei suoi talenti.
«Assolutamente. Io mi sento italiano, e credo che il talento italiano abbia tantissimo da offrire all’Europa. Basta avere il coraggio di provarci. A volte il futuro comincia da un gesto semplice, come bussare a una porta sconosciuta. O da un foglio di carta con scritto un indirizzo email».