Di Francesco Dominoni
Ha lasciato la banca vent’anni fa per seguire la musica. Oggi, Giancarlo Migliaccio, napoletano, è uno dei buskers più riconosciuti di Dublino. La sua chitarra risuona tra Grafton Street e il lungomare di Bray, dove l’aria sa di libertà.
In questa intervista racconta la sua svolta, il valore dell’arte di strada e il diverso modo in cui l’Irlanda e l’Italia guardano agli artisti. Una storia di coraggio, talento e autentico spirito italiano, vissuto con orgoglio e riconosciuto dal pubblico d’Irlanda. L’intervista rientra nel viaggio del COMITES Irlanda alla scoperta degli Italiani che, con passione e determinazione, hanno saputo costruire in Irlanda nuove vite, nuove sfide e nuove eccellenze.
Giancarlo, da dove comincia la tua storia irlandese?
Sono arrivato in Irlanda nel 2004. Avevo un amico che lavorava come cuoco e mi ospitò all’inizio, a Duleek. Poi mi trasferii a Dublino. Venivo da un ambiente bancario, ma sentivo il bisogno di cambiare vita. Quella in banca era una prigione: contavo le ore ogni giorno. Così decisi di voltare pagina.

Come sei passato dal mestiere di cuoco alla musica?
Una sera non avevo niente da fare e presi la chitarra. Andai a suonare per strada, così, per provare. Dopo un’ora avevo raccolto trenta euro. Era più di quanto guadagnassi come cuoco. Tornai il giorno dopo, e poi ancora. Finché capii che poteva diventare il mio lavoro.
Dublino è una città che accoglie i musicisti di strada?
Assolutamente sì. A Grafton Street, dalla mattina alla sera, c’è sempre qualcuno che suona. È un luogo vivo, creativo, dove l’arte è rispettata. Certo, non mancano i problemi: tossicodipendenti, furti, meno Garda in giro rispetto a un tempo. Ma lo spirito resta forte: chi suona lo fa per passione, e il pubblico lo sente.
Hai mai avuto paura?
Sì. Ci sono situazioni in cui preferisci lasciar perdere. Non vale la pena rischiare la vita per dieci euro nel case. Ma quello che dà fastidio non sono i soldi: è l’abuso, la mancanza di rispetto. Ti nervosisce, ma impari a controllarti.
E il clima? Suonare all’aperto in Irlanda non dev’essere facile.
Il peggio è quando piove con vento: impossibile ripararsi. Ma grazie alla Corrente del Golfo il freddo non è mai insopportabile. Di solito gennaio e febbraio sono mesi difficili, poi da San Patrizio in poi si riprende. Quel weekend del 17 marzo è il più bello e anche il più redditizio: una volta feci 700 euro in due giorni.
Hai un posto preferito dove suonare?
Sì, Bray. È sul mare, a un’ora da Dublino. C’è un lungomare bellissimo, rilassante. Ci si siede, si guarda l’oceano e si canta. E lì non ci sono tossici. È il mio posto del cuore.

Dove ti vedi tra dieci anni?
Il mio sogno è viaggiare in camper e mantenere me stesso suonando. Girare il mondo con la musica. È la libertà assoluta.
Cosa cambia tra suonare in Irlanda e in Italia?
Tutto. In Irlanda ti trattano come una rockstar. Ti abbracciano, ti ringraziano, ti sorridono. In Italia, invece, c’è ancora il pregiudizio: chi suona per strada è visto come un mendicante. Una volta un signore a Napoli mi disse: “Lei mi sembra una persona perbene, come mai è qui a suonare per strada?”. Gli risposi: “Guardi, tra gli artisti di strada è difficile trovare persone disoneste. Se le cerca, vada pure nelle banche o nelle istituzioni: lì ne trova quante ne vuole”.
Cosa rappresenta per te l’Irlanda oggi?
La libertà. È il Paese che mi ha dato la possibilità di essere me stesso. Di vivere di musica, di arte, di passione. Di suonare guardando il mare, e sentirmi finalmente a casa.
Un messaggio per gli italiani che sognano di cambiare vita come te?
Non aspettate il momento perfetto. Non arriva mai. Arrivate, provate, rischiate. La vita è troppo breve per restare in un posto dove contate le ore che mancano alla fine della giornata.